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Il Natale nell’arte: i mosaici

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Quest’anno abbiamo deciso di parlare del Natale nell’arte facendo ricorso ai mosaici di P. Marko Rupnik, il gesuita sloveno, famoso artista che ha realizzato mosaici presenti in tanti santuari e chiese di tutto il mondo. Qui è possibile reperire il post dello scorso anno.

Le opere che segneranno la nostra lezione si trovano nella Chiesa del Redemptoris hominis all’interno del Santuario Nazionale dedicato a San Giovanni Paolo II di Washington.

Ringraziamo il Centro Aletti che ci ha autorizzato all’uso delle immagini e delle relative informazioni.

I mosaici che decorano le pareti della Chiesa raffigurano alcuni episodi tratti dall’Antico e dal Nuovo Testamento legati alla prima lettera Enciclica di Papa Giovanni Paolo II dal titolo Redemptor Hominis che dà il nome alla chiesa stessa.

La Chiesa

Una parete luminosa prepara il fedele all’ingresso in un nuovo spazio, ricco di una misteriosa bellezza.

Sono presenti l’immagine del volto di Cristo, il Redentore dell’Uomo, e un angelo che s’inchina davanti al volto di Cristo che è raffigurato sul velo della Veronica quando, durante la salita al Calvario, pulì dal sangue e dal sudore il volto di Gesù.

il natale nell'arte

La luce riflessa d’argento e d’oro dell’ingresso vogliono richiamare le acque del battesimo. Così l’ingresso simbolicamente vuole segnare il passaggio dall’uomo vecchio all’uomo nuovo in seguito al Battesimo.

L’entrata è un corridoio angusto, nudo, quel breve passaggio, tra due croci, è l’immagine della morte.

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Ben presto, però, si apre uno spazio pieno di luce dorata.

Sul fondo dell’abside è raffigurato Gesù Cristo crocifisso con le braccia stese, ma con gli occhi aperti per richiamare la risurrezione. Cristo indossa le vesti sacerdotali e quelle braccia aperte simboleggiano anche l’abbraccio accogliente per tutta la creazione.

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Dall’ambone emergono tre donne: Maria Maddalena, Maria la madre di Giacomo e Salome, la mattina di Pasqua, che portano gli aromi per ungere il corpo di Gesù.

il natale nell'arte
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L’altare è un blocco di pietra, scolpito e lucidato. Ha una forma simmetrica, quadrata e su ogni lato sono scolpiti tre apostoli, ognuno con un segno che lo identifica. Di fronte, al centro, c’è Pietro.

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Il Natale nell’arte

Alcuni episodi dell’Antico Testamento

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presenti sulla parete sinistra della Chiesa sono collegati agli episodi del Nuovo Testamento

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presenti sulla parete destra: da un lato c’è la prefigurazione dall’altro la risposta di Dio.

Adamo ed Eva rivestiti di gloria

Il libro della Genesi ci racconta che il primo uomo e la prima donna furono creati a immagine di Dio, secondo la sua somiglianza” (cf. Gen 1,26). Loro, a cui il Creatore aveva affidato il mondo e tutto ciò che contiene, erano risplendenti nella comunione perfettamente naturale che godevano l’uno con l’altro, con la creazione e con il Creatore.

I Padri della Chiesa amavano descriverli rivestiti della luce dello Spirito, o avvolti della gloria di Dio. Giovanni Paolo II ha insegnato che semplicemente esistendo in questa comunione originaria, il primo uomo e la prima donna erano testimoni della creazione, intesa “come il dono fondamentale” che ha l’Amore come sua sorgente.

Questa comunione però è sempre minacciata; infatti, appena visibile tra il verde rigoglioso dell’albero, il serpente, ovvero un angelo caduto, circonda la testa di Eva. Egli imprigiona la sua mente, e le sue parole avvelenano la sua coscienza. Qui il tema è quello dell’ascolto: Eva ascolta il serpente e, distogliendo lo sguardo dal Creatore, lo fissa sull’albero del bene e del male, decidendo così di non accogliere Dio.

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L’Annunciazione

Eva ha scelto di ascoltare parole cariche di bugie. È iniziata così la tragica storia di peccato dell’umanità. Dal lato opposto, troviamo un’altra donna, Maria di Nazaret. Anche lei ascolta, ma la figura che si rivolge a lei è bella, libera, piena di luce e indica verso l’alto, verso Dio, l’Altissimo. “Non temere”, le dice dolcemente. “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra …” (Lc 1,35). Darai alla luce un figlio che alla fine schiaccerà il potere oscuro del peccato (cf. Gen 3,15).

Maria apre tutta se stessa per accogliere il dono della Parola di Dio nella parola dell’angelo. Le sue braccia cullano e non afferrano possessivamente, un rotolo. Libera dal veleno del serpente, accoglie e dice: “Sono la serva del Signore avvenga per me secondo la tua parola” (cf. Lc 1,38). Nelle sue mani vediamo un gomitolo rosso, che ricorda un’antica tradizione secondo la quale stava tessendo il velo del Tempio di Gerusalemme al momento in cui le apparve l’angelo Gabriele. Ora, con il suo “Sì”, tesse la carne del Verbo.

Questo legame iconografico tra il rotolo della Parola e il corpo di Maria ci mostra il passaggio dalla Parola all’Immagine, dall’ascolto alla visione. Prima la Parola di Dio poteva essere solo ascoltata, ora la possiamo anche vedere, perché tramite Maria si è fatta Volto.

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Caino uccide suo fratello Abele

Adamo ed Eva hanno velocemente scoperto che il peccato distrugge ogni relazione, spezza la comunione di cui avevano goduto tra di loro, con la creazione e con Dio. Avevano pensato di conquistare la somiglianza con Dio, ma ora non sanno arginare il potere divisorio che hanno scatenato nel mondo. La spaccatura si trasmette ai loro figli. Identico al gesto di Eva mentre afferra la mela, si ripete il gesto del figlio Caino. Il frutto preso dalla madre dei viventi diventa la pietra con cui il fratello uccide il fratello Abele, mite agnello pronto all’offerta, è immagine di Cristo e ne riproduce i tratti nel volto.

Il gesto possessivo, avido, di Eva è ripetuto da suo figlio Caino. Un tempo l’uomo era vestito del fuoco dello Spirito, risplendente della luce immortale di Dio. Nessuno poteva estinguere la vita che era in lui, ma, una volta che il peccato ha soffocato questa luce, si ritrova inerme, carne mortale, fragile, come uno stoppino bruciato che persino il piccolo gesto di un dito può spezzare. Il frutto colto diventa duro come i cuori umani corrotti, si trasforma in morte. Il peccato trasforma l’Eden in un deserto e in un muro di separazione. Il giardino sparisce.

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La Visitazione

In Caino diventano evidenti le conseguenze della possessività avida del peccato: il sospetto, la gelosia, il fratello che si rivolta contro il fratello. Invece, il frutto della disponibilità trasparente di Maria alla Parola di Dio è la vita. Così, dal lato opposto all’immagine del primo fratricidio, troviamo un gioioso incontro che è una celebrazione di vita. Maria, che porta la Vita stessa nel suo grembo, va a visitare la cugina Elisabetta, che nella sua tarda età ha incontrato la misericordia di Dio. Lei, sterile, ha concepito un figlio dal marito Zaccaria (cf. Lc 1,39). Le braccia di entrambe le donne sono stese nell’accoglienza. Lo spazio tra di loro è riempito d’oro, perché questa prontezza a ricevere e ad aiutare un altro è già una partecipazione alla vita eterna di Dio.

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La torre di Babele

La stretta omicida di Caino brucia nella memoria semisepolta della razza umana. Gli uomini arrivano di nuovo a distruggere l’“altro” fastidioso, il proprio fratello. Questa volta, cercano di costruire un regno che obbligherà a una falsa unità monolitica tutti i popoli della terra.

A Babele (“Babilonia”, nella traduzione greca della Bibbia), “tutta la terra aveva un’unica lingua e uniche parole” (Gen 11,1). Il versetto allude a una pratica dell’impero babilonese, così come di molti altri imperi, antichi e nuovi, che cercava di ridurre il mondo a sé, imponendo la propria lingua e la propria cultura a tutti i popoli conquistati. Là gli uomini decidono di costruire “una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo”, un simbolo del loro potere centralizzato. Sulle loro spalle, portano i mattoni con cui pensano di innalzarsi al cielo. Saliranno al luogo della dimora di Dio, facendosi divini solo con le proprie forze. “Facciamoci un nome”, dicono (Gen 11,4). Saremo come Dio e gli altri si inchineranno al nostro potere.

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Il Natale del Signore

A Babele, e in ogni tempo e in ogni luogo dove regna la superbia, l’uomo dice a se stesso: mi eleverò al cielo affinché tutti ammirino la mia gloria, annienterò tutte le differenze e renderò ciascuno come me. Dio, invece, ha una mentalità differente, san Paolo esorta: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò sé stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini” (Fil 2,5-7). L’uomo voleva rendersi Dio, ma Dio è talmente mosso dall’amore per la sua creatura che diventa uomo. L’Onnipotente si rende povero e discende. Il Bambino, le cui fasce evocano le vesti funebri che un giorno lo avvolgeranno, è la unità tra il cielo e la terra: è vero Dio e vero uomo.

Negli sguardi non c’è nessun accenno al sorriso. Prevale in tutti un’espressione pensierosa. Giuseppe viene presentato quasi sempre con il bastone ed il giglio. Ad indicare il lavoro modesto di falegname e la sobrietà di un uomo fattosi viandante per la propria famiglia. Rupnik delinea San Giuseppe attivo e partecipe nell’evento della nascita. Il ruolo di padre putativo spesso nell’iconografia classica era reso con il sonno o il distacco dello sposo di Maria. Giuseppe tiene in mano un ramo secco, che ricorda la profezia di Isaia: “Un germoglio spunterà dal tronco di lesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici” (Is 11,1). Il regno di Davide, figlio di lesse, non c’è più, ne è rimasto solo un tronco secco. Ma la fedeltà di Dio non viene mai meno, la sua promessa è per sempre, perciò persino dall’albero già secco fa spuntare un germoglio: Gesù Cristo, figlio di Davide della ventottesima generazione.

Con la nascita di Gesù non c’è più esclusione, non c’è più paura, non c’è più odio. In questo modo i lupi, i leoni e ogni specie di bestie, vengono addomesticate.

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Abramo e Sara accolgono i tre misteriosi visitatori

La storia tragica del peccato rappresentata finora sulla parete sinistra della chiesa è una storia di sterilità. La mano avida del peccato semina discordia e morte. La torre di Babele è incompiuta. Da solo, l’uomo non può dare la vita. La sterilità si esprime persino in coloro che cercano di seguire la chiamata di Dio: Abramo e Sara non hanno figli. Ma il Dio che benevolmente ha stretto un’alleanza con Abramo (cf. Gen 17,1-8) interviene. Tre misteriosi visitatori – una prefigurazione della Trinità– appaiono all’anziana coppia a Mamre (cf. Gen 18,1). Dopo la lunga storia umana di sospetto e di possesso, Abramo finalmente fa il gesto più proprio dell’essere umano: accoglie, mostra ospitalità, riceve, si inchina in venerazione, offre in dono cibo e bevanda.

Ali d’angelo nascondono il volto del primo visitatore, la cui veste è sfumata del rosso della divinità. Egli vede, ma non può essere visto, mentre con la mano alzata, ci benedice “con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo” (Ef 1,3). Il secondo visitatore, la cui veste porta tracce del blu dell’umanità, indica sia la figura alla sua destra che la ferita nel suo fianco. In questa danza di mani e nel movimento delle ali, la mano del terzo visitatore si ferma sui doni di Abramo e la sua ala si stende su Sara che diventerà madre.

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L’Epifania del Signore

Nel bambino nato povero a Betlemme tutte le nazioni trovano benedizione; è il punto di arrivo di una delle tre promesse – la benedizione – di Dio fatte ad Abramo. Subito dopo la sua nascita, giungono i Magi da oriente, seguendo segni nel cielo, la stella, che indicano un re. Nella scena precedente avviene l’annuncio della nascita di Isacco, qualcosa della gioia di Sara nel ricevere il figlio della promessa si trasmette a questi tre stranieri che avevano il cuore aperto a Dio. La Scrittura ci dice che “al vedere la stella, provarono una gioia grandissima” (Mt 2,10). Avevano già intuito che questo re non era nato per un popolo soltanto.

A differenza degli “esperti” del Tempio che davano loro indicazioni, dicendo dove il Messia sarebbe nato, i tre Magi s’incamminarono in fretta per trovarlo. E stranamente giunti a Betlemme trovarono tutto tranne una scena regale: un bambino indifeso e una famiglia povera.

Nella scena dell’Epifania è presente anche la figura del Papa Giovanni Paolo, considerato il Papa dei popoli nuovi perché è stato il primo a viaggiare in tutto il mondo. Per questo motivo i Magi sono raffigurati come rappresentanti di diversi continenti: l’Asia, l’Africa e l’Europa. Inchinati nel profondo rispetto religioso di chi è capace di riconoscere l’Altro, i Magi si avvicinano al Bambino Gesù.

I tre doni si trovano esattamente sotto il rotolo di Cristo, il Verbo, per indicare che, entrando nella luce del Logos, in cui tutto è stato fatto (cf. Gv 1,3), ogni cultura scopre la sua verità, la sua ricchezza. Insieme alla stella, ad indicare il Signore c’è la mano del Papa, che però mostra Cristo tramite la Madre, cosa che ci fa immediatamente ricordare il suo motto apostolico: Totus Tuus. Proprio come la stella aveva guidato questi magi, san Giovanni Paolo II indirizza la nostra attenzione verso il Redentore del mondo, indicando la Madre che lo ha partorito.

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