Io: uno, nessuno o centomila?

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Con i ragazzi continuiamo il discorso sull’identità, sull’io.

Richiamiamo la parte finale del post precedente:

  • avevamo chiesto ai ragazzi di fotografare a casa un oggetto che li rappresentasse e che fosse collegato a un aneddoto significativo;
  • alla foto dovevano aggiungere un titolo;
  • ognuno doveva scrivere una breve autobiografica in relazione all’aggetto scelto.

Condivideremo le loro foto inviateci.

I ragazzi rifletteranno sul fatto che ognuno è ciò che racconta di sé, ma anche l’immagine che sceglie di dare agli altri. L’oggetto che ho scelto diviene simbolo per me, nel senso che mi riporta a significati ulteriori, che vanno oltre l’oggetto in sé. Perché ho scelto proprio quell’oggetto e non un altro per rappresentare una parte della mia storia?

Gli adulti hanno anche l’identità digitale, lo Spid, che permette a tutti i maggiorenni di accedere ai servizi della pubblica amministrazione. Con questo possiamo affermare che lo Stato conosce tutto dei suoi cittadini? Sicuramente conosce l’aspetto fiscale e sanitario, tributario e amministrativo, ma ognuno di noi è solo questo?

Domanderemo: “Davvero tutto questo completa la conoscenza di noi stessi? La nostra persona si esaurisce con la conoscenza di questi dati?”

Il racconto di noi

Faremo notare che tutti sono quella “identità digitale”, il racconto autobiografico, l’io intimista e personale che hanno scritto, ma sono anche ciò che ciascuno di loro vuole che appaia di sé, sono anche quello che vogliono che gli altri vedano di loro.

I simboli nelle catacombe raccontavano la fede e la speranza dei cristiani nei primi secoli del Cristianesimo, ma ancora oggi i simboli significano molto. Basti pensare ai qr code o ai codici a barre, dicono i dati anagrafici, tributari, sanitari, ecc. permettono l’accesso a tutti i servizi della pubblica amministrazione, ma la persona che emerge da quei codici, racconta di sé anche altro.

Nella scrittura autobiografica ci si racconta così come ci si percepisce, così come si vuole narrare una parte della propria storia. Nel momento in cui si passa da una dimensione autobiografica, personale ad una che potremmo definire “social”, subentra il desiderio di dare un’immagine di sé che potrebbe non corrispondere a quella reale: i racconti possono cambiare in quanto ci si preoccupa di più della visione che si potrebbe dare agli “altri”.

Di conseguenza il loro scritto, se fosse stato destinato alla pubblicazione su qualche social, sarebbe stato modificato oppure lo avrebbero postato così come è stato scritto?

Chiederemo loro, immaginando una pubblicazione, quale immagine e quale frase userebbero per descriversi.

L’io grafico

Faremo disegnare un codice a barre che si distrugge prendendo spunto dal disegno riportato qui sotto e al fianco dovranno disegnare l’immagine di un loro profilo pubblico immaginario… quasi a dire, la tua persona è catalogata per lo Stato, ma la tua narrazione privata non è definita dallo Spid.

uno

Sono anche quello che solo io conosco di me stesso e che non ho il coraggio di mostrare a nessuno e per il cristiano ognuno è ancora molto di più, ovvero creatura amata, preziosa, unica e irripetibile, voluta esattamente così come è, nessun aspetto escluso, compreso quello che piace meno.

Queste attività potrebbero essere utilizzate per l’Educazione Civica (Cittadinanza digitale).

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